A cura di Martin Arborea
Per molte organizzazioni “essere digitali” significa utilizzare strumenti come Excel, mail, drive, chat, whatsapp e software gestionali. In realtà, questo significa trasformare in digitale alcuni strumenti e abitudini analogiche senza fare il vero salto verso la digitalizzazione.
Forti di questa errata cognizione, ogni giorno queste organizzazioni perdono ore nel gestire:
- file Excel duplicati e versioni non allineate;
- approvazioni via e-mail, con “in copia” una moltitudine di soggetti;
- richieste interne che si perdono nei thread di chat;
- scadenze riportate su agende personali o post-it digitali.
La conseguenza di questa gestione è la dispersione e la frammentazione di preziose informazioni, con costi in termini di: inefficienza, stress, limitata capacità di reazione.
L’apice di questa illusione di essere finalmente digitali sta proprio nell’uso dei fogli di calcolo di cui la parola Excel è oramai diventata sinonimo.
In ogni organizzazione, infatti — pubblica o privata, grande o piccola — si è fatto spazio questo “amico” molto utile nell’aiutarci a gestire la crescente quantità di informazioni. Lo si utilizza con lo scopo di fare ordine e cercare di avere sotto controllo la situazione, ma, e se ne accorgono oramai in tanti, quello che sembrava essere un aiuto per raggiungere questo scopo diventa, in taluni casi, solo un’illusione che costringe invece ad un lavoro per nulla facile e che fa perdere nuovamente il controllo della situazione.
Com’è possibile?
Beh, ogni volta che uno strumento nato per un determinato scopo viene forzato ad utilizzo diverso da quello per cui è nato, il rischio di incappare in nuove e diverse problematiche diventa alto.
Lo strumento che gestisce fogli di calcolo, Excel, è nato e pensato per fare analisi, simulazioni numeriche e calcoli. Questo il suo scopo principale. Ma il suo uso, nel tempo, si è trasformato in una specie di coltellino svizzero aziendale.
Facciamo un esempio concreto
In molte aziende, la gestione delle manutenzioni – ordinarie e straordinarie – si regge spesso su un file Excel.
Ogni riga rappresenta un impianto, una macchina, una sede; ogni colonna un intervento, una data, una scadenza.
Sulla carta sembra semplice: un elenco ordinato di attività da fare.
Ma la realtà è un’altra.
Quel file vive in una cartella condivisa, aperta da più persone, spesso contemporaneamente.
Nessuno sa chi ha aggiornato cosa, o quando.
Le celle si colorano di giallo, verde, rosso — ognuno con un proprio codice “segreto” magari messo in una legenda.
Un tecnico aggiunge una riga, un altro la cancella.
Qualcuno copia il file per sicurezza, poi lo rinomina Manutenzioni_aggiornato_definitivo_OK_bis.xlsx
E così, di “definitivo”, non rimane più nulla.
Il risultato?
Le attività si sovrappongono, le scadenze si perdono, gli impianti vengono revisionati in ritardo. L’errore è sempre dietro l’angolo, con risultati imprevedibili.
Un giorno qualcuno si accorge che una caldaia non è mai stata controllata, o che un estintore è scaduto da due mesi e che un certificato fondamentale per attestare la sicurezza non si trova.
Eppure “era tutto segnato nel file”.
Il problema risiede davvero nel file Excel? In realtà Excel non sbaglia — semplicemente non è fatto per gestire processi, ma per mantenere dati da elaborare e magari eseguire calcoli e creare grafici.
Excel non sa che un’attività è “in corso” o “chiusa”: qualcuno lo deve aggiornare per questo.
Excel non avvisa se un intervento è in ritardo.
Excel non assegna responsabilità.
Excel non comunica con nessuno.
Succede così che, invece di semplificare, ci si ritrova in un paradosso: la gestione si complica, servono persone per ricordare alle persone di aprire il file che serve alle persone per ricordarsi cosa devono fare.
E quando la tecnologia smette di supportare inizia anche la perdita di fiducia nel digitale. Attenzione però: non è il foglio che fallisce, ma è il modo in cui lo forziamo a diventare qualcosa che non è, a risolvere compiti per cui non è stato creato.
Cosa fare allora? Certamente usare correttamente gli strumenti è un primo passo: un foglio di calcolo non potrà mai sapere che un intervento è urgente, né ricordare ad un tecnico che un impianto è in fermo da tre giorni. Un processo digitale sì.
Occorre che la gestione delle manutenzioni, per proseguire con l’esempio, smetta di essere un foglio da aggiornare e diventi un flusso vivente: ogni segnalazione apre un’attività, ogni attività ha un responsabile che viene chiamato ad intervenire, ogni scadenza ha una notifica automatica, ogni stato è visibile in tempo reale.
I tecnici non compilano celle: ricevono task. I supervisori non cercano informazioni: consultano indicatori. Il management non si affida più a un file condiviso, ma ad un processo tracciabile, trasparente, governabile.
La differenza non è tecnologica, è di prospettiva: invece di rincorrere i dati, si orchestra il flusso.
Con questo passaggio si recupera il valore autentico della digitalizzazione: non più fare le stesse cose con strumenti nuovi, ma introdurre strumenti che guidino l’organizzazione nel raggiungere gli obiettivi.
Quello della gestione delle manutenzioni è solo un esempio. Ogni organizzazione ha i suoi file Excel da cui dipende aimè più del dovuto: a volte è il foglio delle ferie, altre quello dei fornitori, delle richieste d’acquisto o dei contratti in scadenza, della valutazione delle performance dei collaboratori o della gestione dei ticket interni… sino ad arrivare ad Onboarding del personale, Audit e non conformità, e tanto altro.
Cambia il contenuto, ma la dinamica è sempre la stessa: uno strumento pensato per organizzare dati viene usato per gestire processi non avendone i requisiti.
È proprio qui che entra in gioco il vero senso della digitalizzazione: non quello di aggiungere strumenti, ma di riportare coerenza nel modo in cui lavoriamo. Serve una tecnologia che non ci chieda di adattarci a lei, ma che si adatti ai nostri processi, alle nostre logiche, al nostro linguaggio.
In questa trasformazione un ruolo da protagonista può giocarlo l’approccio no-code di classe enterprise che permette di costruire rapidamente quelle soluzioni che trasformano il lavoro frammentato in un sistema ordinato e visibile, dove ogni attività trova il suo posto in un flusso chiaro.
Non più fogli da rincorrere, ma processi da governare.
Non più dati dispersi, ma informazioni con un significato condiviso.
Non più attività manuali, ma azioni guidate da regole, ruoli e responsabilità.
Restituire alle organizzazioni il controllo della loro complessità, rendendo visibile ciò che oggi è nascosto nei file, nelle chat, nelle e-mail, in un ambiente dove le persone collaborano, dove i flussi si muovono da soli e dove la tecnologia torna a essere ciò che dovrebbe sempre essere, un alleato silenzioso, affidabile, umano: è questa la vera manifestazione della digitalizzazione.

Editoriale a cura di:
Martin Arborea
co-Founder and Marketing & Sales Director Openwork
Oltre l’interfaccia: la User Experience come leva strategica per l’innovazione in Jamio openwork

Negli anni ’90 Donald Norman, psicologo cognitivo e ingegnere Apple, introdusse per la prima volta il concetto di User Experience (UX), definendolo come “l’insieme di tutte le interazioni che una persona ha con un sistema, dal design industriale alla grafica, fino alle interazioni fisiche e manuali”.
Da allora, la UX è diventata un elemento chiave dell’innovazione tecnologica: non si limita a come appare un software, ma si concentra su come lo si vive, su quanto sia intuitivo, piacevole ed efficace da utilizzare.
In Openwork crediamo fortemente che la qualità dell’esperienza utente sia un fattore determinante per il successo di una piattaforma. Per questo stiamo investendo in un profondo rinnovamento della User Experience di Jamio openwork, convinti che un design pensato per le persone non sia solo un miglioramento estetico, ma un vero motore di valore e di trasformazione per chi utilizza le nostre soluzioni ogni giorno.
UX non è solo UI
Spesso la User Experience viene confusa con la User Interface (UI). La UI riguarda l’aspetto visivo, pulsanti, colori, layout, mentre la UX abbraccia l’esperienza complessiva: la semplicità, la fluidità dei flussi, la chiarezza delle informazioni e la soddisfazione nel raggiungere un obiettivo. In altre parole, una buona UX non abbellisce un prodotto: lo rende più utile, accessibile e produttivo.
In un contesto come quello di Jamio, dove la tecnologia è pensata per adattarsi alle persone e non il contrario, la UX è il punto d’incontro tra efficienza, design e valore d’uso e gioca un ruolo strategico nella nostra visione di innovazione continua.
Design Thinking: progettare partendo dalle persone
Alla base della UX moderna c’è il Design Thinking, un metodo che combina empatia, creatività e rigore per risolvere problemi complessi. Si parte dall’ascolto degli utenti, si osservano comportamenti ed emozioni, si definiscono i bisogni reali e si costruiscono soluzioni concrete attraverso prototipi e test continui. Il principio è semplice: prototipare, testare, migliorare, ricominciare.
È lo stesso approccio che adottiamo in Openwork, dove l’innovazione nasce dall’esperienza diretta degli utenti Jamio e si evolve costantemente insieme a loro.
Il giusto equilibrio tra persone, tecnologia e business
Una soluzione di design è davvero efficace solo se trova il giusto bilanciamento tra:
- Desirable → desiderabile per l’utente
- Feasible → tecnicamente realizzabile
- Viable → sostenibile per l’organizzazione
Questo equilibrio è il cuore del nostro lavoro di ricerca e sviluppo: creare un design che non sia solo bello da vedere, ma anche utile da usare e sostenibile da mantenere nel tempo.
Come stiamo evolvendo la User Experience in Jamio openwork
Partendo da questi concetti fondamentali, in Openwork stiamo lavorando alla definizione di un nuovo design system per la piattaforma Jamio: un progetto che rappresenta un passo importante verso un’esperienza utente più moderna, coerente e centrata sulle persone.
Stiamo agendo su tre livelli distinti ma interconnessi:
- User Interaction (IxD)
Studiamo come gli utenti interagiscono con il prodotto, analizzando flussi, tempi di risposta e modalità di navigazione, per rendere ogni azione più fluida e naturale. - User Experience (UX)
Esploriamo l’esperienza complessiva d’uso: come l’utente si sente, quanto è intuitivo un percorso, quanto il sistema lo accompagna nel raggiungimento dei suoi obiettivi. - User Interface (UI)
Ridisegniamo l’interfaccia visiva — gli elementi tangibili dell’interazione — definendo un linguaggio grafico più pulito, coerente e adattivo, capace di garantire continuità e riconoscibilità tra le diverse applicazioni Jamio.
Questo lavoro non è un semplice restyling estetico: è una trasformazione funzionale. L’obiettivo è far percepire Jamio come un ambiente di lavoro fluido, armonico e coerente dove ogni interazione supporta la produttività, riduce il carico cognitivo e trasmette chiarezza.
Il valore di business della UX
La User Experience non è un costo o un elemento accessorio di design: è una leva strategica di efficienza e valore.
Un software progettato attorno alle persone:
- riduce il tempo di formazione e di supporto,
- aumenta la produttività degli utenti,
- diminuisce errori e passaggi ridondanti,
- migliora la percezione di qualità e affidabilità del brand.
Nel modello no-code di Jamio openwork, la cura della UX moltiplica il valore della piattaforma. Una buona esperienza utente consente a più persone — anche non tecniche — di progettare e utilizzare soluzioni complesse con facilità. Questo si traduce in maggiore autonomia per i team di business, più velocità nel cambiamento e una riduzione reale della complessità tecnologica.
Ogni miglioramento nella UX di Jamio ha un impatto diretto sulla produttività delle organizzazioni che la utilizzano: meno tempo per capire, più tempo per fare.
L’esperienza come forma di innovazione
La User Experience è oggi un fattore chiave per la competitività delle piattaforme digitali.
Con il nuovo design di Jamio openwork, stiamo costruendo un’esperienza in cui usabilità, estetica e valore di business si fondono per accompagnare le organizzazioni verso una digitalizzazione più consapevole, efficiente e umana.
Perché un buon design non si limita a rendere le cose belle: le rende più facili, più logiche, più nostre.
Gestire la PEC in cloud: tutto quello che c'è da sapere senza trascurare la sicurezza

La gestione della PEC in cloud rappresenta una soluzione moderna e strategica per aziende e professionisti che cercano accessibilità, sicurezza e organizzazione avanzata.
Grazie a piattaforme come Jamio, è possibile consultare e gestire le caselle PEC ovunque, centralizzare più account, integrare la posta certificata con sistemi aziendali e automatizzare archiviazione e smistamento dei messaggi.
I principali vantaggi includono mobilità, automazione, organizzazione e sicurezza avanzata tramite backup automatici, crittografia end-to-end, monitoraggio costante e certificazioni come ISO 27001.
Il cloud, quindi, è particolarmente indicato per team distribuiti, professionisti con numerose PEC e aziende che desiderano soluzioni scalabili e integrate. In sintesi, scegliere il cloud significa semplificare la gestione della PEC, aumentare l’efficienza operativa e garantire standard di sicurezza elevati.
Scopri come Jamio può trasformare la gestione della tua PEC e approfondisci tutti i vantaggi del cloud per la tua organizzazione.